L'Antica Arte della Posteggia
Il termine posteggia, secondo alcuni, deriva da “puosto” luogo occupato da chi esercita un’attività, solo
in termini non molto remoti il termine è stato accostato ai musicisti e cantanti che riempivano si suoni
e canti le numerosissime taverne sorte nel cinquecento a Napoli.
Sicuramente sono gli eredi dei gruppi di cantori girovaghi che attingevano alla tradizione del canto contadino e lo adeguavano alle esigenze del pubblico cittadino, quindi più adatto allo svago che alle esigenze rituali o propiziatorie delle campagne. Le origini si perdono nella notte dei tempi, un primo documento scritto che specificatamente si riferisce ai posteggiatori è un’ordinanza, del 1221 di Federico II di Svevia contro i suonatori ambulanti che, di notte, esibendosi nelle taverne, disturbavano il sonno dei napoletani. Anche Giovanni Boccaccio, nel suo soggiorno napoletano, nel 1300 circa riferisce “d’infiniti strumenti, d’amorose canzoni, così da giovani come da donne fatti, sonati e cantate risuonano”. Ma il fenomeno era così diffuso, come racconta Matteo Spinelli, che perfino re Manfredi nel 1250, di notte usciva per le vie cantando in compagnia di due “romanzaturi”. Nel cinquecento in una realtà urbana composta da nuclei familiari di basso reddito, e da senza lavoro, il far musica per le strade diventa un mezzo per guadagnarsi la giornata, del resto a quei tempi a Napoli come in tutta Europa, canti e balli rappresentavano occasione di svago. Nel seicento a seguito di sconvolgimenti politici e sociali le classi dominanti persero interesse verso il canto popolare, dopo i giorni di Masaniello la cultura popolare viene ritenuta pericolosa per la stabilità politica. Forse si deve a questo se non ci sono molte notizie sui principali cantori dell’epoca mentre “crescono” i compositori ed i musicisti nei primi Oratori e Conservatori. Nel settecento l’affermarsi della commedia dell’arte e dell’opera buffa fanno in modo d’assorbire la canzone popolare, la fusione avveniva intervallando il melodramma con coloriti intermezzi di vita popolare in modo da ricreare la piazza o il vicolo. Nell’ottocento la canzone diventa fenomeno di massa, ai canti popolari si affiancano canzoni d’autore, la piccola borghesia si affaccia nella realtà, un processo lento ma graduale, fare musica può essere un mezzo per passare ad uno stato di rispettabilità. Cambiarono anche gli strumenti in uso ai posteggiatori, chitarre e mandolini dominavano la scena, anche lo stile dei cantanti cambiò, le canzoni venivano eseguite “con garbo”. In quel periodo era famoso il posteggiatore don Antonio ‘o cecato, nato nel 1816 nella zona del porto. L’ottocento rappresenta il periodo d’oro per la canzone e per i posteggiatori, da un balcone spalancato di via della Quercia si diffondono le note di “Te voglio bene assaje” in poche ore tutti i posteggiatori diffondono la canzone per le vie di Napoli, il successo fu strepitoso. A questa seguirono molte altre canzoni diffuse e rese celebri dai posteggiatori grazie anche alla diffusione delle copielle volanti, fogli singoli stampati che in quell’epoca invasero la città. Ai primi del novecento molti gruppi di posteggiatori fecero fortuna all’estero, ma le loro fortune economiche non si risollevavano mai, sono leggendarie le loro giocate al lotto, forse l’antico modo di vivere alla giornata gli impediva di avere una vocazione al risparmio. Nel 1912 con l’introduzione delle macchine parlanti, i grammofoni, e successivamente con la radio, la diffusione delle canzoni non ebbe più bisogno di loro.
Sicuramente sono gli eredi dei gruppi di cantori girovaghi che attingevano alla tradizione del canto contadino e lo adeguavano alle esigenze del pubblico cittadino, quindi più adatto allo svago che alle esigenze rituali o propiziatorie delle campagne. Le origini si perdono nella notte dei tempi, un primo documento scritto che specificatamente si riferisce ai posteggiatori è un’ordinanza, del 1221 di Federico II di Svevia contro i suonatori ambulanti che, di notte, esibendosi nelle taverne, disturbavano il sonno dei napoletani. Anche Giovanni Boccaccio, nel suo soggiorno napoletano, nel 1300 circa riferisce “d’infiniti strumenti, d’amorose canzoni, così da giovani come da donne fatti, sonati e cantate risuonano”. Ma il fenomeno era così diffuso, come racconta Matteo Spinelli, che perfino re Manfredi nel 1250, di notte usciva per le vie cantando in compagnia di due “romanzaturi”. Nel cinquecento in una realtà urbana composta da nuclei familiari di basso reddito, e da senza lavoro, il far musica per le strade diventa un mezzo per guadagnarsi la giornata, del resto a quei tempi a Napoli come in tutta Europa, canti e balli rappresentavano occasione di svago. Nel seicento a seguito di sconvolgimenti politici e sociali le classi dominanti persero interesse verso il canto popolare, dopo i giorni di Masaniello la cultura popolare viene ritenuta pericolosa per la stabilità politica. Forse si deve a questo se non ci sono molte notizie sui principali cantori dell’epoca mentre “crescono” i compositori ed i musicisti nei primi Oratori e Conservatori. Nel settecento l’affermarsi della commedia dell’arte e dell’opera buffa fanno in modo d’assorbire la canzone popolare, la fusione avveniva intervallando il melodramma con coloriti intermezzi di vita popolare in modo da ricreare la piazza o il vicolo. Nell’ottocento la canzone diventa fenomeno di massa, ai canti popolari si affiancano canzoni d’autore, la piccola borghesia si affaccia nella realtà, un processo lento ma graduale, fare musica può essere un mezzo per passare ad uno stato di rispettabilità. Cambiarono anche gli strumenti in uso ai posteggiatori, chitarre e mandolini dominavano la scena, anche lo stile dei cantanti cambiò, le canzoni venivano eseguite “con garbo”. In quel periodo era famoso il posteggiatore don Antonio ‘o cecato, nato nel 1816 nella zona del porto. L’ottocento rappresenta il periodo d’oro per la canzone e per i posteggiatori, da un balcone spalancato di via della Quercia si diffondono le note di “Te voglio bene assaje” in poche ore tutti i posteggiatori diffondono la canzone per le vie di Napoli, il successo fu strepitoso. A questa seguirono molte altre canzoni diffuse e rese celebri dai posteggiatori grazie anche alla diffusione delle copielle volanti, fogli singoli stampati che in quell’epoca invasero la città. Ai primi del novecento molti gruppi di posteggiatori fecero fortuna all’estero, ma le loro fortune economiche non si risollevavano mai, sono leggendarie le loro giocate al lotto, forse l’antico modo di vivere alla giornata gli impediva di avere una vocazione al risparmio. Nel 1912 con l’introduzione delle macchine parlanti, i grammofoni, e successivamente con la radio, la diffusione delle canzoni non ebbe più bisogno di loro.