Quel fascino antico della canzone napoletana

 

Da sempre la canzone napoletana - per uno di quei tanti controsensi che, per chissà quale imperscrutabile destino, Napoli sembra dover scontare, anche quando si tratta di affrontare temi a prima vista piacevoli e "leggeri" - è un campo di accesi dibattiti, di controversie e polemiche, di scontri ideologici, di scuole di pensiero contrapposte. La qualcosa in se potrebbe anche essere la testimonianza di una perdurante vitalità se non fosse che in molti oggi si chiedono cosa sia la canzone napoletana, aldilà di una definizione meramente linguistica, e non solo come manifestazione musicale e poetica ma come espressione di un'identità e di una memoria (che - a nostro avviso - rappresentano le uniche necessarie, pacifiche e feconde forme di "diversità" che caratterizzano le comunità umane, aldilà di etnie, razze, condizioni sociali e politiche). In altri contesti la musica è uno dei segni che rendono evidenti e riconoscibili i connotati di una cultura e di una storia non solo all'esterno, ma anche all'interno, verso coloro che quella cultura e di quella storia fanno parte. Si pensi, ad esempio, alla tradizione musicale irlandese, che ha prodotto un’interessante e creativa miscela di modernità e tradizione, senza perdere una sua precisa e coerente funzione, simbolica e sentimentale, di partecipata appartenenza collettiva, pur nella molteplicità di forme e di espressioni, dalle esecuzioni filologiche del repertorio antico alla musica rock, e nella sua diffusione ben oltre i limiti geografici da cui scaturisce. Certo, anche la canzone napoletana è un marchio inconfondibile a livello planetario, sia pure spesso nella forma di efferate deformazioni oleografiche. Il problema nasce quando la "napoletanità" percorre le strade untuose e scivolose che conducono verso il culto autistico delle care memorie, verso la riesumazione caricaturale dei salotti in cui si celebrano i fasti piccolo- borghesi della canzonetta e delle poesie napoletana, verso le riproposizioni sciatte e volgari del repertorio che appiattiscono i colori e le sfumature della tradizione musicale partenopea, verso tutte quelle forme banalizzatrici e distorte che troppo spesso oggi vengono proposte, in modi a volte francamente mortificanti, nei meandri dell'etere televisiva. E allora, l'unico modo di reagire a questi scempi - ed è un amaro destino che Napoli riesca con pervicacia a distruggere le proprie ricchezze - è quello di contribuire ad una seria conoscenza di questo patrimonio culturale. Da questo punto di vista forse qualcosa sta cambiando, e se ancora ci stiamo impantanando su progetti che chissà perche sembrano delle chimere (musei, fondazioni, centri di studi e ricerca, ecc.) l'interesse verso questo immenso giacimento culturale sembra nonostante tutto non venire meno. Non parlo a caso di giacimento culturale anche per le canzoni napoletane: sotto la punta dell'iceberg del repertorio che noi oggi comunemente conosciamo, c'è una mole di materiali e poetici - a tutti i livelli, da quella che potremmo definire con improprio termine moderno, la "canzone d'autore", ai generi di più leggero intrattenimento, opera di grandi artisti e valenti artigiani - che attendono di essere scoperti ed indagati. In questo campo sono spesso le iniziative di associazioni private e di singoli studiosi a fare la differenza.